Il Lunedì del Villaggio Globale - di Marco Guastavigna, pubblicato in Insegnare 1-2, 2011

Slogan digitali

Metafora ormai dimenticata, o – meglio rimossa, dal dibattito sul rapporto tra tecnologie della comunicazione ed evoluzione socio-culturale, “Villaggio Globale” è stato per un lungo periodo concetto di ampio successo, cui era obbligo fare riferimento in ogni riflessione e in ogni  dibattito.  

Una sorte simile ha avuto, in tempi più recenti, la distinzione operata da Marc Prensky nel 2001 tra (presunti) digital natives e (presunti) digital immigrants. I primi, nati in un ambiente caratterizzato dalla pervasività delle tecnologie digitali, avrebbero avuto stili di apprendimento, matrici e aspirazioni culturali profondamente differenti dai secondi, quasi inconciliabili.

Non vi è notizia di evidenze empiriche, ricerche o sperimentazioni significative sulla veridicità di questa classificazione; e tanto meno sulla (presunta) necessità di adeguare le strutture formative e i percorsi educativi a questo (presunto) iato intergenerazionale, che in Italia è stato spesso banalizzato e identificato con indefinite, ma insanabili, contraddizioni cognitive tra giovani e adulti, tra studenti e insegnanti.

È sotto gli occhi di tutti, invece, il fatto che il concetto ha avuto e continua ad avere un grandissimo successo: a questo must culturale si sono ispirati e s’ispirano titoli di convegni, seminari, pubblicazioni e molti finanziamenti e iniziative di formazione messi in campo dal Ministero e dai suoi enti strumentali, nonché da Università e Politecnici.

 

Revisione critica

Prensky ha recentemente spiazzato molti tra i suoi più o meno improvvisati seguaci, proponendo una nuova classificazione, priva di contrasti generazionali. In H. Sapiens Digital: from Digital Immigrants and Digital Natives to Digital Wisdom tratta infatti il concetto di saggezza (“wisdom”) digitale: il saggio digitale accetta lo sviluppo tecnologico come fatto integrato dell’esistenza umana, come irrinunciabile potenziamento cognitivo; ne fa perciò un uso critico e responsabile, allo scopo di compiere scelte e decisioni su una base di informazioni e riflessioni più ampia.

Il “saggio digitale”, insomma, va ben oltre la semplice dimestichezza con le strumentazioni e la grande curiosità per le continue novità (digital skillness). All’estremo opposto si colloca la digital stupidity, atteggiamento di chi pratica trasgressione e intrattenimento fini a se stessi, pirateria, teppismo mediale e così via, ma anche di chi rigetta a priori qualsiasi rapporto con le tecnologie e le giudica inutili, mortificando le proprie capacità di costruire conoscenza.

Una società evoluta e competitiva sul piano globale deve, secondo Prensky, indirizzare e accompagnare tutti i suoi componenti verso la saggezza digitale. Proseguiremo quindi il ragionamento, accogliendo questo invito dal punto di vista della scuola e descrivendo sinteticamente come le risorse digitali possano influenzare i processi di conoscenza e di conseguenza arricchire le possibilità didattiche.

 

Infrastrutture per la conoscenza

La banda larga permette di usare la rete con efficienza e rapidità di risposta paragonabile a quelle dei programmi installati su un computer. Si vanno diffondendo Netbook, iPhone e iPad, nonché gli SmartPhone, telefoni cellulari in grado di eseguire applicazioni software complesse e di connettersi a Internet con buona resa, magari per riversare filmati su YouTube o gestire la propria presenza su Facebook o su altri siti di social network.

Lavagne interattive multimediali, “tablet” computer e Windows 7  a livello di sistema operativo permettono il multitouch, a cui ci stanno allenando molti telefonini evoluti e generazioni di iPod: toccando uno schermo possiamo interagire con tutte le risorse di un dispositivo digitale; parallelamente sta crescendo il numero di acquirenti di reader, che sfruttano la luce d’ambiente anziché la retroilluminazione, e rendono più leggibili il loro contenuto, l’eBook.

I vari sistemi operativi comunicano ormai con facilità tra di loro; questa interoperabilità vale non solo per i personal computer, ma anche per gli altri congegni, dai citati tablet ai telefonini evoluti e così via. Ogni dispositivo, per altro, propone un’interfaccia composta di simboli su cui agire e non di comandi da memorizzare: sta insomma trionfando la visione ergonomica, user-friendly, del rapporto tra macchine e utenti. E questa prospettiva riguarda anche il mondo opensource, che ora produce software non solo per Linux, ma anche per Windows e MacOSX, sistemi operativi proprietari: l’esempio più evidente di questa positiva contaminazione è OpenOffice[1].

Il servizio “Documenti” di Google, che consente di elaborare testi, fogli di calcolo, slide, schemi, moduli in modo evoluto e potente, è la dimostrazione più nota ed efficiente di cloud computing, applicazioni utilizzabili impiegando solo un browser, con l’opportunità di raggiungere il nostro lavoro da qualsiasi punto del mondo e di condividerlo con altre persone. Sempre un semplice programma di navigazione su Internet ci dà l’accesso a blog e microblog – anche come autori – così come a Wikipedia o a depositi di documentazione digitale sui più diversi temi, da Slideshare a Calameo e Scribd, fino a Gdocu, motore di ricerca che può essere orientato al reperimento di particolari tipi di materiali, tra cui appunto sequenze di diapositive elettroniche.

 

Modelli di conoscenza

Oltre all’appena descritto incremento delle opportunità operative di accesso alle conoscenze, si sta verificando una variazione dei paradigmi di riferimento per la loro diffusione. Si parla molto di Web 2.0: tutti possono diffondere propri contenuti su Internet rete senza diventare specialisti in tecnologia. I contenuti digitali sono per definizione modificabili e incrementabili e pertanto la “pubblicazione” non li rende definitivi, ma oggetto di discussione critica, partecipata e continua. Proprio Wikipedia è un esempio molto chiaro non solo di questo processo, ma anche di un'altra evoluzione dell'apertura culturale, la rinuncia alle royalties e una diversa gestione della paternità autoriale.

            Sullo stesso versante si collocano le Creative Commons Licenses, con cui gli autori possono esimere i “lettori” da alcuni obblighi del copyright, soprattutto concedendo il permesso di riprodurre o di modificare le produzioni intellettuali.

            C’è addirittura chi mette l’accento su immaterialità e conseguente inesauribilità delle produzioni culturali digitali e prospetta quindi una profonda modifica dei criteri e delle implicazioni relativi al diritto d’autore, che giudica attualmente vincolato a una visione industriale  materiale– delle elaborazioni intellettuali prodotti dell’intelletto.

            In questo dibattito si collocano anche gli auspici per un Digital Welfare, che mediante investimenti pubblici eviti il rischio di nuove enclosures, ossia di recinzioni digitali che i modi di distribuzione di parecchi contributi scientifici (prezzi non accessibili per tutti gli enti e per tutte le latitudini; accesso ad archivi a distanza, la chiusura dei quali causa comporterebbe la perdita totale delle risorse da parte degli ex-abbonati) starebbero costruendo nel mondo della cultura[2].

 

Conoscenza a scuola

In questa situazione la scuola deve tenere conto che le attuali generazioni sono di fatto e in maggioranza autonome nell’uso dei dispositivi digitali, grazie alle sempre più vaste e differenziate attività di intrattenimento e di consumo culturale cui dedicano molto tempo. Non abbiamo bisogno di aule piene zeppe di computer identici, in cui gli studenti impieghino ripetitivamente gli ambienti più noti e diffusi. Sono invece necessari ambienti a composizione variabile, che sfidino i giovani sul piano cognitivo, chiedendo loro di cimentarsi con dispositivi e procedure di vario genere, con l’obiettivo di una forma mentis aperta. Mentalità flessibile e critica: agli adulti il compito di portare questo insieme di pratiche e di abilità tecniche diffuse a essere dotazione operativa e cognitiva orientata a attività culturali significative. E quindi verso la digital wisdom e non verso la deriva della digital stupidity. Non serve che tutti gli studenti collochino contemporaneamente e individualmente su diversi PC vari tipi di parole-chiave per comprendere il funzionamento di un motore di ricerca. È molto più utile riflettere in gruppo sui risultati – sempre provvisori – di una chiave di ricerca impostata e raffinata collettivamente.

            La scuola, insomma, deve insegnare non a usare e a cercare, ma a “saper trovare”. Usare in modo critico Internet richiede la valutazione di pertinenza e attendibilità delle informazioni reperite mediante ricerca con strumenti digitali. Molto più utile di chiedersi se su un dato argomento su Internet “c'è qualcosa” è porsi il problema di “come” e “perché” quel qualcosa ci sarà e “chi” ce l'avrà messo. Chi pubblica il sito? Con quale scopo? Con che linguaggio, cura, precisione, aggiornamento, e così via[3]? Queste domande indirizzano gli allievi verso la saggezza digitale.

            La facilità di accesso è garantita dalle infrastrutture; alle istituzioni di mediazione culturale compete fornire metodologie e criteri per accertare la validità dei risultati. In questa prospettiva l’invito di Prensky diventa priorità socio-culturale prima ancora che didattica ed è condizione per dare autentica valenza di competenza cognitiva alla ricerca, espressione che comprende ormai non solo i “classici” motori – primo fra tutti Google – ma un sistema più vasto: l’uso di parole chiave costituisce ormai uno standard di tutti i depositi di conoscenza digitale.

             

Su Internet per approfondire

La prima classificazione di Prensky

http://www.marcprensky.com/writing/Prensky%20-%20Digital%20Natives,%20Digital%20Immigrants%20-%20Part1.pdf

Saggezza digitale

http://www.innovateonline.info/pdf/vol5_issue3/H._Sapiens_Digital-__From_Digital_Immigrants_and_Digital_Natives_to_Digital_Wisdom.pdf

Slideshare

http://www.slideshare.net

Calameo

http://www.calameo.com

Scribd

http://www.scribd.com

Gdocu

http://www.gdocu.it/

Creative Commons licenses

http://www.creativecommons.it

Gruppo Facebook sulla conoscenza come bene comune

www.facebook.com/group.php?gid=62205983998&ref=ts

Un webquest sul pensiero critico

www.noiosito.it/med/wqita

 

 



[1] Ci siamo occupati di questo e di altri software opensource in “La pila dei software”, Insegnare 1-2, 2010.

[2] Cfr. C.Hess, E. Ostrom (a cura di), “La conoscenza come  bene comune”, B. Mondadori.

[3] Abbiamo trattato estesamente questo argomento in “Valutare e selezionare le informazioni di Internet”,  Insegnare 5, 2009, che contiene una check list  per la valutazione approfondita di una risorsa digitale reperita attraverso un motore di ricerca.