Scrittura mutante o scrittori tecnologicamente consapevoli?  – di Marco Guastavigna

(pubblicato in Insegnare 11-12, 2005)

 

Se in tutti i miei articoli sulla nostra rivista c’è una qualche costante, essa risiede nell’analisi delle tecnologie digitali in prospettiva cognitiva. Anche questo ragionamento su dispositivi e software di recente produzione e progressiva diffusione si pone in questa logica. Cominciamo con i computer palmari, il cui vantaggio fondamentale sta nelle ridottissime dimensioni (sono tascabili) e nella notevole durata della batteria. Molti di essi sono poi corredati già all’atto dell’acquisto dai fondamentali programmi di automazione d'ufficio, tra cui in particolare ottimi software di scrittura, del tutto paragonabili a quelli dei PC “tradizionali” e di strumenti per la connessione senza cavi a Internet. Consentono insomma di lavorare pressoché dovunque (compresa l'aula in cui si fa o si ascolta una lezione), anche con una parziale riduzione delle potenzialità e dei risultati rispetto a macchinari più grandi. La tastierina standard e lo stilo di cui sono dotati rendono abbastanza agevole la stesura di appunti, scalette, testi rapidi: si tratta di una configurazione molto funzionale per portare con sé i risultati di una riunione, di un convegno, di un collegio docenti, nonché di occasioni estemporanee, in formato digitale, ovvero flessibile e quindi rielaborabile, se necessario dopo il trasferimento sul disco rigido del nostro calcolatore con i cavi forniti a questo scopo. La confezione di vendita prevede però più spesso anche una tastiera pieghevole, a sua volta tascabile, ma, una volta aperta, di dimensioni paragonabili almeno a quelle di un portatile; altra possibilità è l’utilizzo di una (più costosa) tastiera-laser, proiettabile su qualsiasi superficie. Si tratta ovviamente di apparecchiature opzionali, che però non sono affatto un gadget, bensì una testimonianza molto efficace di come non debbano essere gli uomini ad adattarsi alle tecnologie, ma viceversa. Si tratta insomma della macroscopica rappresentazione di una scelta ergonomica, un congegno che, nel caso si debbano affrontare con un palmare anche elaborazioni e "scritture" impegnative, ripristina accettabili condizioni di lavoro, dal punto di vista non solo posturale, ma anche mentale. Accanto ai palmari e alle loro tastiere si collocano altri "giocattolini" comunicativi, ovvero penne con cui è possibile trasformare in digitale un testo scritto in origine su carta.  Come funziona questo secondo aggeggio? La penna digitale memorizza via via  il "vergato", che sarà successivamente trasportato via cavo sul nostro PC, dove un software di riconoscimento trasformerà il tutto in materiale elaborabile con un qualsiasi programma di videoscrittura.  Sono necessari appositi supporti cartacei, che interagiscono in modo speciale con la penna affinché essa "archivi" nella sua memoria quanto andiamo scrivendo ed un training di una trentina di minuti, mediante il quale il programma apprenderà le caratteristiche della nostra grafia. Anche in questo caso è quindi possibile prendere appunti, scaricarli sul PC e rielaborarli. La penna digitale unisce insomma alla portabilità del supporto di scrittura tradizionale e alla rapidità acquisita in anni e anni di scrittura "manuale" la flessibilità e la riproducibilità del digitale. Ovviamente ci sono anche alcuni svantaggi (a parte i costi), o per lo meno alcuni condizionamenti: alla già citata dipendenza dall'apposito supporto cartaceo, va infatti aggiunta quella dal tempo di carica della penna, che funziona a batterie. Mettiamoci ora nei panni del potenziale utente di uno strumento del genere, in particolare di uno studente: gli è richiesta una buona consapevolezza in merito al contesto e alle finalità della sua elaborazione intellettuale e dei suoi percorsi e processi di apprendimento. Egli dovrà infatti saper valutare se e quanto gli appunti che si accingerà a prendere potranno davvero essere oggetto di rielaborazione o se, invece, essi saranno autosufficienti e stabilizzati fin dal momento in cui vengono presi. Solo nel primo caso, infatti, varrà davvero la pena di utilizzare la penna digitale e l'apposito supporto cartaceo, non fosse altro che per i già citati costi. Diversamente, saranno più che sufficienti una penna (o, meglio, una matita) ed un supporto del tutto tradizionale - oltre a concentrazione, ordine, rigore, capacità di sintesi e così via, tutti aspetti del processo cognitivo connesso al prendere appunti a cui le tecnologie in quanto tali possono, ovviamente,  dare ben poco. Più in generale, quindi, chi vuole scrivere ha a disposizione varie tecnologie diverse tra loro, ma integrate ed integrabili, da impiegare a seconda dei casi.  E pertanto chi vuole scrivere vedrà sempre più diventare elemento  costitutivo delle sue competenze comunicative anche la valutazione di vantaggi e svantaggi, economici, ergonomici e cognitivi, dell'uso di ciascuna di esse in rapporto a contesti e finalità di scrittura. Palmari, tastiere pieghevoli e laser, penne digitali, sono insomma un'occasione per riflettere sul rapporto tra pratiche tecnologiche e competenze dell'elaborazione intellettuale. Ripropongono la necessità di interrogarsi sul nuovo e di esplorarlo; ci fanno ancora una volta capire che l'atteggiamento più corretto rispetto alle tecnologie di comunicazione è la messa a preventivo di frequenti modificazioni attente e coscienti non solo delle strategie e degli automatismi logico-procedurali precedentemente conseguiti, ma anche della rappresentazione mentale di insieme degli orizzonti ergonomici e cognitivi da esse costruiti e/o implicati.