Estratto da “Dialogo” - Primo Levi, Tullio Regge, prima edizione 1984

Illuminanti e quasi profetiche considerazioni multidimensionali su scrittura digitale e uso dei dispositivi elettronici

 

ho letto il libro di Pozzoli, Scrivere con il computer, e mi ha fatto l’effetto della tromba che dà la sveglia in caserma: mi sono reso conto che oggi si può certo vivere senza computer, ma si vive ai margini, e si è destinati ad un distacco sempre maggiore dalla società attiva. I Greci dicevano di una persona incolta: «Non sa né leggere né nuotare»; oggi bisognerebbe aggiungere: «né usare un elaboratore».

Cosí, non senza esitazioni e sforzi su me stesso, mi sono comperato un elaboratore di testi, e adesso scrivo esclusivamente con questo. Al principio è stata molto dura: ero totalmente ignaro della terminologia in uso, ero terrificato dalla paura che il testo scritto finisse cancellato per qualche manovra sbagliata, e le spiegazioni dei manuali mi parevano indecifrabili. Poi, a poco a poco, ho capito alcune cose fondamentali. In primo luogo, che bisogna reprimere il desiderio umanistico di capire «quello che c’è dentro»: forse che non usiamo il telefono da quasi un secolo, e la Tv da 30 anni, senza sapere come funzionano? E sappiamo forse come funzionano i nostri reni e il nostro fegato, che usiamo da sempre? È una pura questione di assuefazione; del resto, mi si dice che, salvo gli specialisti, neppure i fisici ed i matematici si curano di approfondire; hanno addomesticato il mostro meraviglioso, e se ne servono senza patemi. In secondo luogo, ho capito che è insensato sperare di imparare a usare l’aggeggio studiando i manuali; a parte il fatto che il loro linguaggio è ostico (quegli gnomi hanno inventato cose portentose ma non si sono curati di creare parallelamente un linguaggio agile ed espressivo), sarebbe come pretendere di imparare a nuotare leggendo un manuale, senza entrare in acqua; anzi, mi dice mio figlio biofisico, senza neppure sapere che cosa è l’acqua, senza averla mai vista. Bisogna imparare sul campo, sbagliando e correggendosi.

Sono ancora un neofita: ho ancora una quantità di manovre da imparare, ma già adesso mi costerebbe fatica tornare alla macchina per scrivere, o peggio a biro, forbici e colla. Non escludo che il nuovo strumento eserciti una sottile influenza sullo stile; un tempo, il dover incidere le lettere ad una ad una con martello e scalpello costringeva alla concisione, allo stile «lapidario»; la fatica si è via via ridotta, ed ora è quasi annullata: un testo si compila, corregge, ritocca, taglia, inserisce, con facilità irrisoria; si è insomma all’estremo opposto. A me pare che questa facilità tenda a rendere prolissi: dovrò starci attento.

C’è poi un altro pericolo: la mia macchina non scrive soltanto, ma disegna. Io non disegnavo dalla quarta elementare, e mi diverto in modo indecente a creare sul piccolo schermo forme che mi sembrano belle e nuove, molto al di sopra della mia capacità manuale; e poi le posso «mettere in memoria» e stampare. È talmente affascinante che ci perdo molte ore: invece di scrivere gioco, e mi diverto come un bambino. E poi, sono contento di imparare a fare cose nuove a 65 anni.

REGGE  Le domande sul futuro elettronico e sulla rivoluzione dei computers sono tra quelle che mi sento fare piú spesso. Io posseggo un personal minimo, il piú piccolo e meno caro. Non lo uso per la ricerca se non marginalmente, faccio fatica a non restarne catturato e drogato. È il perfetto giocattolo per adulti, molto meglio del trenino elettrico, ufficialmente regalato ai figli ma in pratica monopolio dei genitori.

Secondo me il computer finirà per dilagare come fuoco nella prateria e cambierà la faccia del mondo, almeno quello industrializzato. Non è possibile resistere. Se poi si arriverà ad una macchina veramente intelligente o che simuli abbastanza bene l’intelligenza, allora dovremo stare veramente attenti.

A chi mi chiede consigli su come dosare un computer ai figli posso solo consigliare di evitare i giochi automatizzati e preprogrammati, che umiliano l’intelligenza e ci rendono schiavi della macchina. Vedo con favore, come una vera palestra intellettuale, la programmazione e il conseguente controllo sulla macchina. Il calcolatore amplifica le possibilità umane, ne amplifica l’intelligenza ma naturalmente anche l’imbecillità.

Sono davvero intelligenti i calcolatori, almeno quelli adoperati dagli istituti scientifici? Non riesco a considerarli come tali. Sia io che i miei colleghi siamo abituati a programmarli, a controllarli nei minimi dettagli, a dire loro con pignoleria cosa debbono fare. Per me si tratta sempre di una macchina, docile, pignola ed instancabile, completamente priva di fantasia e di autodecisione.

Forse una prossima generazione di computers si presenterà a noi con caratteristiche automatizzate ma con conseguente perdita di controllo sulla macchina. In questo caso avremo l’illusione dell’intelligenza. Non escludo neppure di essere io un computer biologico che crede di avere una personalità proprio perché i miei circuiti logici interni continuano a ripetermelo tutte le volte che lo chiedo. Non sono sempre convinto di dare un’illusione continua di intelligenza.