Mappe, complessità, strutture di comprensione

di Mario Gineprini e Marco Guastavigna[1]

 

 

1. Mappe concettuali

Il termine mappa concettuale è stato coniato da J. Novak e D. Gowin[2] che, a partire dalla teoria cognitivista dell’apprendimento significativo[3], descrissero le strategie per sviluppare e utilizzare anche in ambito didattico questo strumento. I due studiosi sostennero che la rappresentazione grafica delle conoscenze “è un modo per far emergere i significati insiti nei materiali da apprendere”[4], in quanto costringe gli studenti a riflettere sulla natura delle conoscenze e sulle relazioni che vi intercorrono.

Così come una mappa geografica serve per orientarsi in un territorio, una mappa concettuale è strumento per interpretare, rielaborare e trasmettere conoscenze, informazioni e dati, visualizzando l’oggetto della comunicazione, i concetti principali, i legami che essi stabiliscono e, di conseguenza, il percorso del ragionamento.

Possiamo, perciò, affermare che una mappa concettuale è la rappresentazione grafica di concetti espressi sinteticamente (parole - concetto) all’interno di una forma geometrica (nodo) e collegati fra loro da linee (frecce) che esplicitano la relazione attraverso parole – legamento, come rappresentato in figura:

2. Mappe strutturali

Il termine mappa concettuale viene spesso utilizzato con valore onnicomprensivo e ciò può ingenerare equivoci e confusioni fra strumenti che, pur se apparentati, presentano obiettivi e modalità di lavoro differenziati. Per meglio esplicitare e circoscrivere l’ambito  e le modalità dell’intervento didattico, riteniamo utile, quindi, operare ulteriori distinzioni. Ci pare infatti impreciso indicare con un’unica formula sia mappe volte all’accertamento o alle riflessione di conoscenze pregresse (che possiamo definire mappe cognitive e mappe mentali) sia mappe finalizzate alla comprensione e/o alla verifica di campi di conoscenza (mappe strutturali). Nel corso dell’articolo ci riferiremo a quest’ultime, ossia a rappresentazioni di relazioni tra i concetti principali individuati ed estrapolati da una “unità informativa” accreditata come fonte autorevole e di dimensioni e complessità variabili – da una pagina del libro di testo a un significativo saggio ipertestuale reperito su Internet. L’uso dell’aggettivo strutturale ci pare chiarisca che scopo delle mappe di questo tipo è sintetizzare e mostrare la struttura dell’informazione, arricchendo l’unidirezionalità della dimensione testuale con la visualizzazione della multidirezionalità connettiva della rappresentazione grafica – cfr. scheda esemplificativa.

In virtù di ciò, le mappe strutturali appaiono uno strumento prezioso per migliorare la quantità e la qualità dell’apprendimento e per supportare setting comunicativi nella esposizione di argomenti disciplinari. Permettono agli studenti di organizzare e memorizzare con maggiore efficacia il materiale di studio, di rafforzare la comprensione delle conoscenze acquisite attraverso rielaborazioni e manipolazioni fisiche e mentali e di rappresentare dinamicamente i processi cognitivi[5].

 

3. Il tema delle mappe strutturali

La mappa strutturale si sviluppa a partire da un “tema”. Con questa espressione intendiamo non solo “ciò di cui si parla” ma anche “la ragione per cui se ne parla”. Da un punto di vista didattico possono quindi costituire un “tema”, a partire da uno scopo (studiare, progettare, analizzare, confrontare…), materiali informativi cartacei, digitali, multimediali, ipertestuali presi singolarmente o  in qualche modo già connessi tra loro, ma anche per estensione tutte le “situazioni” che abbiano bisogno o possano essere occasione di analisi e/o classificazione, oppure ancora che possano essere oggetto o opportunità di progettazione, di definizione di organigrammi, di flussi di attività e così via.

Gli studenti, in genere, non sono, per lo meno all’inizio dei vari percorsi, esperti dei campi di conoscenza e/o azione sui quali vengono chiamati a sviluppare mappe strutturali. Scelto il “tema”, quindi, le mappe, in una fase iniziale, avranno soprattutto una funzione esplorativa,  propedeutica, di costruzione progressiva di criteri di distinzione e di articolazione e, più in generale, di relazioni tra gli oggetti della conoscenza, e successivamente potranno trasformarsi in strumenti di organizzazione, progettazione, programmazione ed esposizione delle conoscenze.

 

4. Ambiente digitale e il modello logico – operativo della costruzione di mappe strutturali

Per la costruzione di mappe si possono utilizzare, a secondo degli scopi che ci si prefigge, i numerosi ambienti digitali presenti nel mercato, ognuno in possesso di caratteristiche operative che fanno capo a diversi modelli logici[6]. In particolare, per la costruzione ricorsiva e negoziata di mappe concettuali in un ambiente di apprendimento condiviso ci pare particolarmente indicato il software Inspiration 6.0.

Le mappe concettuali in ambiente Inspiration™, infatti, si organizzano sulla base delle seguenti caratteristiche:

-         assenza di una sintassi di connessione predefinita: è possibile dare al lavoro un’impostazione gerarchica, ma ciò non è necessario; il programma consente di fare qualsiasi tipo di collegamento tra i concetti; le connessioni sono infatti orientabili mediante punte di freccia e a ciascuna di esse può essere assegnato un nome;

-         valorizzazione di qualsiasi stile di progettazione, compresa la possibilità di procedere per prova-e-verifica e/o a partire da un iniziale brainstorming; i concetti possono venir collocati e essere successivamente mossi sul foglio di lavoro senza che ne sia in alcun modo definita la relazione con quelli precedenti; ciascun concetto, anzi, è trattabile, se necessario, come oggetto separato dagli altri;

-         assegnabilità ai nodi-concetto, oltre che di relazioni, di varie proprietà che li possono ulteriormente connotare e differenziare: forma, combinazioni di colori e di risorse tipografiche, dimensioni; l’assegnazione di ciascuna di queste proprietà può essere in ogni momento modificata;

-         integrazione tra organizzazione dei concetti di tipo grafico e di tipo testuale (modalità outliner);

-         approfondimento potenziale: a ciascun nodo di Inspiration può essere associata una pagina WEB, collocata in rete o in locale;

-         articolabilità per livelli: ciascun nodo può potenzialmente generare un child, che diverrà elemento di un’altra mappa distinta e subordinata, oppure adottare una mappa già realizzata sempre in posizione subordinata., e così via ricorsivamente.

Ne consegue che l’ambiente è utile per la costruzione di mappe sia quando fin dall’inizio del processo si abbia pieno dominio, in termini e di articolazione dei concetti e di relazioni tra di essi, del campo di conoscenza e/o di azione che si intende rappresentare, sia quando si deve, invece, procedere per raffinamenti progressivi.

 

5. L’errore come risorsa ermeneutica nella costruzione di mappe strutturali

K. Popper afferma che il metodo scientifico, così come è da lui concepito, si fonda e si sviluppa su tre passi. Inizialmente, inciampiamo in qualche problema poco o per nulla conosciuto; tentiamo di risolverlo in qualche modo, proviamo, sviluppiamo ipotesi, azzardiamo soluzioni; impariamo dai nostri sbagli, specialmente da quelli che ci sono resi presenti dalla discussione critica dei nostri tentativi di risoluzione[7]. L’errore, quindi, è una risorsa per l’apprendimento. L’apprendimento, quando è significativo e non banalmente ricettivo, non si misura dalla capacità di riuscire a non commettere errori o, come le macchine, di non poterne commettere. La qualità dell’apprendimento è indicata da quanto l’allievo, "colpevole" dell’errore, riesce a capire perché lo ha commesso e come potrà evitarlo in futuro.

Affinché l'errore sia una risorsa, divenga un'ipotesi che consenta di esplorare nuove opportunità, che permetta il cambiamento, il movimento e la curiosità, c’è però il dovere per l’insegnante e per gli altri partecipanti alla comunità di apprendimento di dire che cosa ritengono giusto o no è per dare agli altri una posizione a cui rivolgersi[8]. Gli stimoli cognitivi forniti dagli errori e dalla loro analisi impongono un loro riconoscimento. Altrimenti si corre il pericolo di cadere in un relativismo privo di  criteri, che impedirebbe l’acquisizione di strumenti di revisione e di cambiamento verso forme di conoscenze consolidate. L’apprendimento è un processo che si articola attraverso due piani distinti ma connessi: una componente conservativa e tautologica ed un’altra casuale, imprevedibile, creativa, che prepara al cambiamento[9].

È evidente che (soprattutto quando parliamo di quelle strutturali) non condividiamo la logica secondo cui “tutte le mappe vanno bene” perché sono in ogni caso la rappresentazione di un modo di conoscere. È proprio con il riconoscimento che una mappa parte dà o si articola attraverso presupposti imperfetti o sbagliati che attiviamo un conflitto con altri modi di conoscere e trasformiamo l’errore in una risorsa per rivedere, revisionare e, alla fine, raggiungere forme di conoscenza più evolute, alla luce di un processo di condivisione, di confronto con gli altri protagonisti della comunità ermeneutica che sta alla base della costruzione della mappa stessa. Si tratta di attivare un agire pedagogico che non demonizzi gli errori, ma che li valorizzi, consentendo di affinare i processi logici. La mappa non deve essere la rappresentazione mentale di un processo mentale, il solo ufficialmente riconosciuto corretto, ma di molti possibili processi mentali che  si evolvono, attraverso progressivi processi di affinamento, revisione, più o meno lineari.

         Soltanto con il riconoscimento della difficoltà che i processi logici determinati dai personali stili cognitivi hanno a comunicare e significare, possiamo arrivare ad un cambiamento. Proprio per questa ragione abbiamo l’obbligo di dire ad un allievo che cosa sia tendenzialmente giusto e che cosa sia tendenzialmente sbagliato, per dargli un punto di riferimento su cui costruire il suo processo di evoluzione cognitiva senza inibire la propria personale intelligenza, provando a valorizzarla. È giusto che l’allievo prenda coscienza dei propri limiti - che spesso non sono che il segnale di difficoltà ad esporre con chiarezza la propria intelligenza, non per viverli con colpa, sensi di inferiorità e inadeguatezza ma per evolvere costruttivamente.

L’errore, perciò, è la difficoltà, l’incapacità di comunicare con chiarezza e coesione la propria differenza, il proprio scarto cognitivo rispetto ad una norma, ad uno stile cognitivo riconosciuto dai criteri che più comunemente definiscono il processo attraverso cui si conosce. Gli sbagli contenuti nelle mappe degli allievi, “ancor prima di essere errori in rapporto a un meccanismo mal interpretato o dovuto al cattivo funzionamento in una data circostanza sono elementi che chiedono di interrogarsi[10]” per approfondire la comprensione. Il processo di insegnamento/apprendimento non si conclude nella ricerca degli errori ma prende vita grazie ad essa. Sbagliare non interrompe la comunicazione didattica, ma permette di approfondire sia il rapporto con i contenuti in questione sia quello con gli altri membri della comunità di apprendimento. “Sarebbe sciocco che la scuola, un luogo dove è cruciale sottoporre a verifica le abitudini di pensiero già apprese e l’adeguatezza dei comportamenti ai contesti, incamerasse i messaggi di dissenso adottando sue strategie unilaterali di correzione, che ignorasse cioè la natura co – evolutiva dei processi relazionali[11]”.

 

6. Mappe strutturali e forme di consensualità

E allora nella costruzione di una mappa non è essenziale che l’allievo produca la mappa “universalmente” giusta, secondo criteri che comunque è bene preventivamente negoziare e condividere, ma che sappia ricreare la sua mappa conservandosi fedele ai suoi processi logici e rendendola nel contempo accessibile, comprensibile, comunicabile alla comunità. Le mappe sono utili per lo studente singolo, per gli insegnanti ma anche per la classe, comunità ermeneutica che cresce e comprende non solo attraverso la realizzazione singola. Le mappe vanno analizzate, revisionate, ridefinite attraverso il confronto con il gruppo classe. Da dove altrimenti acquisire la consapevolezza del proprio approccio cognitivo, delle diverse intelligenze? Negoziare la mappa per condividere significati: perché l’apprendimento è un processo di rielaborazione e cambiamento che si svolge insieme agli altri, che si deve necessariamente confrontare con la comunità di riferimento. L’apprendimento è “un comportamento efficace o adeguato in un contesto preciso[12]”.

A partire da ciò, da questa definizione dell’errore, l’intelligenza allora, come dice Maturana[13], non è tanto la capacità di risolvere un problema (cioè, dati un testo, o un campo di conoscenza rappresentarne graficamente la struttura) quanto la capacità di stabilire “una forma di consensualità”, fatta di errori, incompetenze, ipotesi, imprevisti che si tramutano in comportamenti e azioni capaci di significare nel rispetto delle soggettività. Il punto, quindi, diventa quello di sapere sviluppare rapporti per imparare in primo luogo a comprendere e migliorare le proprie capacità interpretative e dall’altra anche per andare oltre ciò che è previsto come corretto, per scoprire altre forme di rappresentazione che siano rispettose sia delle diverse intelligenze e dei diversi stili di apprendimento sia di imprescindibili esigenze di coesione, coerenza, completezza e chiarezza espositiva, ecc.

La costruzione di mappe strutturali, quindi, si configura come una tecnica di mediazione che consente di gestire il dialogo su cosa è stato compreso: in che modo, perché, come lo si potrebbe dire in altre parole, posti quali contesti, in rapporto a quali altre conoscenze; “uno sfondo integratore che diventa una struttura connettiva capace di facilitare la vitalità degli scambi […] un passo necessario verso un’armonizzazione e un aggiustamento reciproco dei diversi modi di insegnare e apprendere[14]

Scheda esemplificativa

Testo

“La Rivoluzione agricola del Neolitico era favorita dalla mitezza del clima, sopraggiunta con la fine dell’ultima glaciazione, ma, ciò nonostante, la natura continuava ad essere piena d’insidie per l’uomo. Infatti, la fine dell’era glaciale ebbe inizialmente delle conseguenze negative sulle condizioni di vita dell’homo sapiens sapiens.

Gli animali che avevano costituito la base dell’alimentazione umana erano la renna, il mammut, l’orso, il rinoceronte lanoso: alla fine dell’ultima glaciazione essi si spostarono verso nord o addirittura, come il mammut o il rinoceronte peloso, si estinsero. Con il ritirarsi dei ghiacci avvenne dunque una prima grande divisione dei gruppi umani. Alcuni seguirono verso nord le migrazioni dei grandi animali; altri si stabilirono nelle regioni a clima più caldo e si dovettero adattare a un tipo di selvaggina più piccolo (cinghiali, lepri) che forniva meno cibo, e anche una quantità assai ridotta di piante spontanee commestibili; l’elevamento della temperatura aveva infatti inaridito il terreno, rendendolo meno fertile.

L’agricoltura fu probabilmente la risposta a questa sfida ambientale: la scarsità di cibo indusse gli uomini delle aree meno fertili a selezionare le piante commestibili, a proteggere i tipi vegetali più utilizzabili e a favorirne lo sviluppo, fino a impararne la coltivazione”.

 


Mappa strutturale di rappresentazione del testo



[1] L’articolo è stato pensato in modo congiunto dai due autori: Gineprini ha poi steso i paragrafi primo, secondo, quinto e sesto, Guastavigna il terzo e il quarto.

[2] J. D. Novak, D. B. Gowin, Imparando ad imparare, SEI, Torino, 1989 (2001)

[3] D. Ausubel, Educazione e processi cognitivi, Franco Angeli, Milano, 1995 (pagg. 93-193)                           

[4] J. D. Novak, D. B. Gowin, op. cit., pag. 19

[5] Per maggiori approfondimenti rimandiamo a M. Gineprini e M. Guastavigna,  Mappe concettuali nella didattica, www.pavonerisorse.to.it/cacrt/mappe/default.htm .

[6] cfr. M. Guastavigna, “Mappe per i testi”, Italiano&oltre, 1, 2000.

[7] Abbiamo tratto e riassunto la citazione di Karl Popper da M. L. Altieri Biagi, Didattica dell’italiano, Bruno Mondadori, Milano, 1978

[8] P. Perticari, Attesi imprevisti, Bollati Boringhieri, Torino, 1996

[9] G. Bateson, Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984

[10] P. Perticari, op. cit., pag. 141

[11] R. Conserva, Conoscere è (in qualche modo) ri-conoscere. Immaginazione e rigore nei processi di apprendimento in M. Deriu (a cura di), Gregory Bateson, Bruno Mondatori, Milano, 2000, pag. 209

[12] H. Maturana e F. Varala, L’albero della conoscenza, Garzanti, Milano, 1987, pag. 153

[13] H. Maturana,  Dove vai essere umano?, in P. Perticari e M. Sclavi (a cura di), Il senso dell’imparare, Anabasi, Milano, 1994

[14] P. Perticari, idem, pag. 137