Concetti trasversali – di Marco Guastavigna, pubblicato su Insegnare 9/2006

Mentre scrivo è appena ripartita la formazione delle competenze tecnologiche ed informatiche degli insegnanti (ForTic 2006-2008), che avrà il suo culmine probabilmente nell’a.s. 2006-2007, anche se in qualche scuola i corsi sono iniziati già in quello precedente. È di nuovo attiva la piattaforma Puntoedu di Indire ed il modello organizzativo non si discosta molto da quello precedente: sono previsti materiali di studio ed attività laboratoriali, apprendimento a distanza ed in aula, tutor e forum, come nella prima occasione. Sul piano culturale, invece, le novità sono rilevanti e positive: “La nuova edizione di Fortic prevede elementi di continuità con la precedente edizione ma anche essenziali novità come la proposta di un percorso di formazione tecnologica ‘pedagogico-didattico’ e un percorso di formazione tecnologica avanzata (il percorso C1 e C2 della precedente edizione)”. È stata soppressa la controproducente distinzione tra percorso di familiarizzazione con le Tecnologie di Informazione e Comunicazione (molti ricorderanno i moduli di tipo A) e approfondimento degli aspetti didattici (moduli di tipo B). È scomparso ogni riferimento all’European Computer Driving License, syllabus che aveva attirato su di sé molte critiche, perché poco rispondente alle esigenze del profilo professionale docente. In questo momento non sono ancora disponibili tutti i materiali di studio e di laboratorio, ma l’insieme è molto più sobrio e sintetico di quello della prima tornata: formarsi questa volta appare possibile, ovviamente a patto che le singole scuole (su cui ricade il carico economico dei corsi, fatta salva la possibilità degli Uffici scolastici regionali di intervenire con co-finanziamenti e simili) trovino i fondi necessari. È un peccato, però, che non si sia fatto nemmeno questa volta lo sforzo di avviare un progetto davvero trasversale, davvero capace di svincolare gli insegnanti da ogni subordinazione agli aspetti meccanici dell’offerta tecnologica così come essa si configura in superficie. È palese, per esempio, che nell’ottica di chi implementa i materiali esiste sostanzialmente solo Windows. Non sto riproponendo la (sterile) polemica che già scatenò “Fortic-1” a proposito della scarsa attenzione al software opensource ed a Linux: anche chi prova ad accedere alla piattaforma con Safari (il browser standard di MacOSX, sistema operativo assolutamente commerciale), infatti, ha rilevanti problemi di visualizzazione e di accesso ai contenuti. È vero che i colleghi che hanno un Mac sono ancora pochi, ma resta il fatto che le scelte fatte non obbediscono ad un principio di piena inclusione. La medesima tendenza ad individuare un unico riferimento nel sistema operativo più diffuso è del resto individuabile scorrendo i messaggi nei forum: fatte le dovute eccezioni, la gran parte delle indicazioni e delle riflessioni che i colleghi si scambiano, sono relative a programmi funzionanti con Windows, per non citare chi afferma di “aver fatto un powerpoint”, confondendo marchio commerciale (esistente per altro anche per Mac) con prodotto realizzato (una serie di slide da usare in una presentazione). Ribadisco che non è mia intenzione confondermi con coloro che si sono scagliati, si scagliano e si scaglieranno contro scelte di questo genere in nome di una presunta superiorità dell’opensource. Non che la prospettiva sottesa non mi interessi, ma, oltre ad essere persa in partenza, la battaglia condotta in nome della contrapposizione tra i sistemi operativi sta perdendo sempre più di senso. Essa rischia infatti di diventare a sua volta fonte di esclusione, anziché di inclusione, perché crea nella mente di chi si accosta alle tecnologie digitali un’idea di contrasto pratico, cognitivo e formativo che in realtà non esiste. In primo luogo è incontestabile che tra i tre diversi sistemi operativi si sia raggiunto un notevole grado di interoperabilità: la gran parte delle applicazioni dialogano l’una con l’altra ed i dati salvati, sempre meno su dischetto, sempre più su cd-rom, dvd e, soprattutto, pen-drive, possono circolare tra Windows, MacOSX e Linux in modo assolutamente semplice, lineare ed immediato, senza che l’utente debba fare nulla di particolare. Ci sono esempi sempre più numerosi di programmi che presentano singole funzionalità, struttura di insieme ed aspetto visivo assolutamente identici nei tre casi: chi si siede davanti ad un computer con OpenOffice, per esempio, non ha (per sua fortuna) elementi evidenti che differenzino la versione per Windows, da quella per Linux o da quella per MacOSX. Bene: credo che sarebbe stato molto utile dedicare uno spazio della formazione a chiarire ed esemplificare il concetto di interoperabilità, in modo da consentire una comprensione profonda dell’offerta tecnologica. Tanto più che, almeno nel mondo delle aziende e di alcuni utenti privati, avanza sempre più un altro concetto fondante, la convergenza. Tra Windows e Linux, per esempio, vi è convergenza già da tempo: l’uno e l’altro sistema utilizzano gli stessi processori e di conseguenza sostanzialmente gli stessi computer, con dotazioni hardware più o meno identiche. Sono sempre più frequenti del resto le configurazioni dual-boot (“doppia partenza”), ovvero i casi in cui l’utente, all’accensione del proprio computer, può decidere se usare una della diverse distribuzioni di Linux o Windows. Di recente, poi, anche Apple ha incominciato ad utilizzare processori Intel, quelli tipici del mondo Windows-Linux, ed ha messo in circolazione il software Boot Camp: anche in questo caso al momento dell’accensione si può decidere quale sistema operativo usare. Accanto a questa soluzione esiste quella degli emulatori (per esempio Parallels),che consentono di utilizzare Windows avviandolo dall’interno di MacOSX. VMWare, invece, è in grado di far funzionare un singolo programma sviluppato per Windows in ambiente Linux e ha appena annunciato di poter fare lo stesso con MacOSX. Da tempo, del resto, Cider consente di usare dentro Linux molti giochi pensati all’origine per Windows ed il progetto Cedega si pone lo stesso obiettivo dentro MacOSX. L’elenco delle diverse soluzioni per utilizzare sullo stesso computer più sistemi operativi e più programmi potrebbe continuare, ma è più utile chiedersi, al di là degli evidenti vantaggi economici, quale sia il contenuto cognitivo di questo (potenziale) uso plurimo. Per capire meglio, dobbiamo fare un cenno ad un terzo concetto fondante, quello di interfaccia grafico-simbolica, ovvero l’architettura composta di icone, pulsanti, finestre, “scatole” su cui si basano ormai tutti i sistemi operativi citati in questo articolo (oltre ad altri, per esempio quelli dei palmari e/o di molti cellulari) per rappresentare all’utente che cosa può fare e come può farlo . La convergenza dei dispositivi e dei sistemi operativi si traduce così in convergenza cognitiva: posso passare ad un “diverso” sistema operativo per usare un “nuovo” programma perché ho la garanzia di portare con me gli strumenti logici per orientarmi, scegliere, fare. Una delle ragioni per cui ho festeggiato tra me e me ed in qualche mio scritto la scomparsa dei riferimenti all’ECDL nei percorsi formativi rivolti agli insegnanti è il fatto che, per il modo in cui erano fatti i test e di conseguenza i materiali di addestramento, tra i molti danni di quel modello di formazione vi era anche una visione procedurale e statica delle “competenze tecnologiche”: per imparare ad usare il computer devo imparare sequenze di azioni; se mi trovo di fronte ad un programma nuovo, devo aggiungere nuove sequenze di azioni a quelle che mi sono già note. Non è inutile aggiungere che questo atteggiamento genera dipendenza (dal manuale, dall’esperto di turno e così via). Ammesso che esistano vere e proprie competenze tecnologiche esse hanno invece carattere dialogico-interpretativo e quindi dinamico: nel caso di una nuova situazione devo fermarmi per osservare ed analizzare l’interfaccia, riflettere sulle icone e sui messaggi visivi e sul loro possibile significato simbolico, formulare ipotesi in proposito e verificarle in base agli effetti delle mie azioni. Per nuova situazione intendo anche la prima volta che qualcuno si trova di fronte ad un computer con Windows, Linux o MacOSX: pure in questo caso, infatti, la strategia cognitiva vincente e meno faticosa è quella appena descritta. Non è inutile sottolineare che questo atteggiamento, consapevolmente esplorativo, genera autonomia. Spero perciò che non sia solo utopia pensare che prima o poi la formazione degli insegnanti e la didattica rivolta agli allievi abbiano un respiro così ampio da dare spazio ai concetti fondanti analizzati nell’articolo.

Su Internet per approfondire


Boot Camp

http://www.apple.com/it/macosx/bootcamp/

Parallels Desktop

http://www.lolasoft.com/parallels+desktop+for+mac.html

VMWare

http://www.vmware.com/

Cider
Cedega

 

http://www.transgaming.com/

Cfr. Guastavigna M. “Un profilo professionale aperto”, Insegnare, 4 - 2006